Parashat Beshallach – Dall’amaro emerge il dolce

02/02/2023 0 Di Redazione

La Parashà di questa settimana contiene la famosa “Canzone del mare” (Shirat haYam). Il Midrash ci narra che Moshe disse a D-o “So di aver peccato contro di Te lamentandomi con il mio uso della parola ‘az’ [allora], come riportato nella Torà: ‘Dal momento in cui (me’az) sono venuto davanti al Faraone, Tu hai fatto del male a questa nazione’ [Shemot 5:23]. Perciò ti loderò con la parola ‘az’, come è scritto ‘Allora (Az) Moshe cantò’ [Shemot 15:1]”. Questo Midrash richiede una spiegazione.

I versetti immediatamente successivi alla descrizione della Divisione del Mare – letteralmente nei giorni dell’alba della nazione ebraica – descrivono il modo in cui gli ebrei viaggiarono per tre giorni e non riuscirono a trovare dell’acqua per abbeverarsi. Arrivarono in un luogo chiamato Marà nel quale non potevano bere l’acqua perché era amara. Si lamentarono quindi con Moshe, chiedendo cosa potessero bere. Moshe pregò D-o, e D-o gli mostrò un albero che Moshe gettò nell’acqua amara facendo sì che l’acqua si addolcisse. In questo modo gli ebrei furono quindi in grado di dissetarsi. Il Midrash aggiunge che la corteccia dell’albero che D-o mostrò a Moshe e che Moshe gettò poi nell’acqua era essa stessa estremamente amara. L’acqua amara è stata addolcita con l’aggiunta di un albero dalla corteccia amara. D-o non ha l’abitudine di magnificare i miracoli. La “procedura” normale e più logica alla quale potremmo pensare sarebbe che, per addolcire l’acqua, ci sarebbe bisogno di usare qualcosa di dolce. Questo midrash serve quindi ad insegnarci qualcosa. Prima di approfondire cosa ci viene ad insegnare il midrash, inoltre, un’altra domanda che sorge è poiché questa vicenda venga raccontata subito dopo la Divisione del Mare, agli albori della nazione. Anche il collocamento di questa vicenda deve essere quindi propedeutico ad insegnarci qualcosa di particolare importanza.

La lezione da trarre da queste vicende è (per citare le parole del profeta) “Dall’amaro emerge il dolce” [Shofetim 14:14]. A volte, il risultato più dolce può emergere dal dolore più amaro. D-o sta cercando di dare una lezione perpetua all’umanità. Questa è una lezione difficile che tutti noi dobbiamo interiorizzare e, proprio come questa è una lezione per le nazioni, lo è anche per noi come individui. Situazioni che a volte ci sembrano terribilmente amare possono alla fine produrre il più dolce dei risultati. Quando una persona sta sopportando e soffrendo per l’amarezza di una situazione, non può immaginare quale risultato positivo possa derivare dalla situazione in cui si trova. Tuttavia, il legno amaro nell’acqua amara può alla fine produrre dolcezza. Questa è una lezione che dovevamo imparare presto e che abbiamo visto, in retrospettiva, più e più volte. Una situazione che sembrava una terribile pillola da ingoiare si è rivelata la Salvezza di D-o (Yeshuat HaShem).

Questa è anche la chiave per comprendere il suddetto Midrash riguardante l’uso della parola “az” da parte di Moshe. Quello di Moshe non è semplicemente un gioco di parole. Moshe non stava semplicemente dicendo: “Poiché ho usato male la parola ‘z’, ora userò la stessa parola ‘az’ in senso buono”. Il primo “az”, usato da Moshe in Egitto quando si lamentò con D-o per una situazione che sembrava stesse solo peggiorando, era, in effetti, una domanda: Quale risultato positivo può emergere da tutto il dolore e la sofferenza che gli ebrei stanno sopportando? “Dal momento in cui (me’az) sono venuto davanti a Faraone, la situazione di questa nazione è peggiorata. Come può scaturire qualcosa di positivo? Dov’è la dolcezza qui?”

La risposta è che queste sofferenze patite in Egitto, in effetti, alla fine porteranno un beneficio. Invece di vivere in Egitto per 400 anni come schiavi, come D-o predisse ad Avraham, gli ebrei dovettero rimanere lì per un periodo inferiore, per 210 anni. Come ci insegnano i Chachamim, la durata dell’esilio egiziano fu diminuita a causa della pesantezza della servitù. Questo alla fine li ha salvati, perché se fossero rimasti più a lungo in Egitto, non sarebbero stati in grado di andarsene affatto – sarebbero sprofondati spiritualmente troppo in profondità.

Questa, quindi, è la spiegazione di ciò che Moshe stava dicendo nel suddetto Midrash. “Con questa stessa parola ‘az’, che rappresentava una situazione in cui non vedevo alcun possibile lato positivo in quello che stava accadendo – vale a dire l’amarezza della servitù egiziana – ora pronuncerò un canto di lode che, utilizzando questa parola, è testimone di come ora io possa vedere le cose più chiaramente. Ora posso guardare indietro e vedere in retrospettiva che ne è valsa la pena. Vedo che dalla parte più amara può nascere il più dolce dei destini. Me’az (dall’amaro di una situazione apparentemente senza soluzione che sembrava peggiorare sempre di più) yatza matok (è emersa la dolcezza).”

L’Or haChaim nel suo commento scrive che sarebbe bastato che la Torà scrivesse “Moshè cantava”, senza l’introduzione con la locuzione az, “allora”. Tuttavia, la Torà ha voluto parlarci della preparazione che ha portato a quel canto di giubilo. Dopo che gli ebrei acquisirono il timore della Maestà di D-o, che a sua volta si tradusse in una profonda misura di fede sia in D-o che in Moshè, furono divinamente ispirati a cantare questa canzone di ringraziamento. Per rendersi conto di quanto anche quello che al momento ci può sembrare negativo in realtà non lo è basta poco, basta un “az”. Nei momenti più bui non dobbiamo perdere la speranza e, in questi momenti come nei momenti di gioia, dobbiamo ringraziare D-o per quello che ci dà.

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