Parashat Bechukkotai – L’etica del movimento

31/05/2024 Off Di Redazione

Una frase molto nota recita: Va dove ti porta il cuore. Questo, in qualche modo, ci porta alla Parashà di questa settimana, la Parashà di Bechukkotai (Vayikra 26:3-27:34). Nel primo versetto della nostra Parashà è scritto: “Se seguirai le Mie leggi e osserverai fedelmente i Miei comandamenti, ti concederò le piogge nella loro stagione…” Questa è la traduzione comune di questo versetto di apertura, ma una traduzione più letterale non dovrebbe iniziare con “Se seguirai le Mie leggi”, bensì con “Se camminerai secondo le Mie leggi”. La maggior parte dei traduttori sceglie comprensibilmente, in questo contesto, la parola “seguire” invece del letterale “camminare”. Il Midrash, tuttavia, adotta un approccio diverso usando la parola “cammino” nella traduzione letterale e lo collega alla frase riportata nei Tehillim (119:59) che recita: “Ho considerato le mie vie e ho rivolto i miei passi ai Tuoi decreti“. Dopo aver collegato il versetto all’inizio della nostra Parashà con questo versetto dei Tehillim, il Midrash continua, mettendo queste parole sulla bocca del re Davide: “Signore dell’universo, ogni giorno desidererei andare in questo e in quel posto, o a questa o quella dimora, ma i miei piedi mi porterebbero alle sinagoghe e agli studi, come è scritto: “Ho rivolto i miei passi ai Tuoi decreti”».

Molto prima che questo Midrash fosse composto, ma anche molto tempo dopo la vita di re Davide, il Talmud ricorda che il saggio Hillel disse: “Nel luogo che amo, è lì che i miei piedi mi guidano“. (Sukkà 53a)

La lezione è chiara. Il nostro inconscio conosce molto bene le nostre autentiche preferenze interiori, tanto che, qualunque siano i nostri piani coscienti, i nostri piedi ci portano nel luogo in cui vogliamo veramente essere. Per qualcuno, ad esempio, questo luogo potrebbe essere, quando andiamo a visitare una nuova città, il desiderio di vedere le antiche rovine, i musei, i palazzi e il Parlamento. Per altri il proprio io interiore potrebbe dare istruzione ai piedi di indirizzarli verso le vecchie librerie ammuffite dove è possibile curiosare a proprio piacimento, o in parchi rigogliosi fuori dai sentieri battuti dal turismo di massa dove si possono osservare i bambini che giocano.

Questo Midrash interpreta la frase di apertura della nostra Parashà, “Se camminerai secondo le Mie leggi”, come indicativo del desiderio della Torà che l’uomo possa interiorizzare completamente le leggi di D-o in modo che diventino il suo scopo principale nella vita. Anche se inizialmente definiamo il viaggio della nostra vita in termini di obiettivi molto diversi, si spera che le leggi di D-o diventino la nostra destinazione finale. Ci sono numerosi altri modi suggeriti dai commenti nel corso dei secoli per comprendere la frase in senso letterale: “Se camminerai secondo le Mie vie”. Rabbi Chaim ibn Atar, il grande autore dell’ Or haChaim, enumera non meno di 42 spiegazioni solamente per questa frase. Molte delle sue spiegazioni, sebbene non identiche a quella del Midrash che abbiamo citato precedentemente, sono coerenti con esso e ci aiutano a comprenderlo più profondamente. In uno di questi commenti, ad esempio, scrive che usando il verbo “camminare”, la Torà ci suggerisce che a volte è importante, nella vita religiosa, lasciare il proprio “ambiente familiare”. Bisogna “camminare”, intraprendere un viaggio verso un luogo lontano, per realizzare pienamente la propria missione religiosa. È difficile essere innovativi, è difficile cambiare, senza lasciare la propria “comfort zone”. L’Or haChaim ci lascia anche con la seguente profonda intuizione, basata su un passaggio nel libro delle fonti della Kabbala, lo Zohar: “Gli animali non cambiano la loro natura, non sono ‘camminatori’. Gli esseri umani, al contrario, sono “camminatori”, in quanto cambiamo continuamente le proprie abitudini, ‘allontanandoli’ da una condotta vile verso una condotta nobile, e da livelli di comportamento inferiori a comportamenti superiori. ‘Camminare’, progredire, è la nostra stessa essenza , la vera essenza dell’essere umano

La locuzione “camminare” è quindi una potente metafora di ciò che siamo. Pertanto, non c’è da stupirsi che questa parte finale del Libro di Vayikra inizi con questa particolare scelta di parole. Tutta la vita è un viaggio e, nonostante le nostre intenzioni, in qualche modo arriviamo a Bechukotai, “le Mie leggi”, così concludiamo il nostro viaggio attraverso questo terzo libro della Torà con queste parole: “Questi sono i comandamenti che il Signore diede a Moshè per il popolo d’Israele sul monte Sinai“.

La nostra Parashà rappresenta quindi come finale del libro di Vayikra un insegnamento molto importante. Se il libro di Vayikra è chiamato Torat Kohanim, perchè perlopiù incentrato sulla costruzione del Mishkan, sui sacrifici e sul lavoro dei Kohanim e dei Leviim, la Parashà di Bechukkotai racchiude, nella prima parte, la promessa di D-o, con una seconda parte di ammonimenti per insegnarci che nonostante tutto abbiamo la promessa che D-o non ci abbandonerà. Il cammino che idealmente dobbiamo intraprendere e che è rappresentato bene in questa Parashà, la crescita personale, può avere degli inciampi, dei momenti di difficoltà, ma non è mai troppo tardi per rimettersi sulla strada giusta, per camminare secondo “i Miei decreti”, per realizzare la promessa di D-o riportata nella Parashà di Yitro: “In ogni luogo in cui ricorderai il Mio Nome, verrò da te e ti benedirò“. Interiorizzare questi concetti, osservare le mitzvot, fare atti di chesed, di giustizia, vivere una vita guidata da valori giusti, rappresenta quello cui tutti dobbiamo anelare, per la nostra crescita personale e per essere meritevoli di sempre più berachot.

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