Parashat Achare Mot – Un capro espiatorio per saper scegliere il futuro

03/05/2024 Off Di Redazione

E Aharon apporrà entrambe le sue mani sulla testa del capro vivo e confesserà su di esso tutte le trasgressioni volontarie dei Bene Yisrael, tutte le loro ribellioni e tutti i loro peccati involontari, e li metterà sulla testa del capro. , e successivamente lo manderà nel deserto con un ish itti, una persona designata (Vayikra 16:21). La Parashà di Achare Mot discute l’Avodà dello Yom Kippur eseguita dal Kohen Gadol. Uno dei rituali più enigmatici era il sa’ir la’Azazel – il “capro espiatorio” inviato nel deserto dal Kohen Gadol durante lo Yom Kippur.

La procedura descritta dalla Torà per l’Avodà dello Yom Kippur prevede la presenza di due capri maschi, animali che idealmente, dovevano essere simili nell’aspetto, nell’altezza e nel valore e dovevano essere acquistati insieme, in un’unica transazione (Mishnà Yoma 6:1). Il primo capro viene portato come chatat, un’offerta di sacrificio collettiva per l’espiazione del peccato di tutto il popolo. Il Kohen Gadol successivamente recita il viddui/confessione per il popolo sul secondo capro, che viene poi scortato nel deserto da una persona designata (l’”ish iti”) che lo spinge giù da un dirupo fino alla morte dell’animale. L’intero processo dell’Avodà svolta dal Kohen Gadol in questa occasione non è di facile spiegazione e molti Chachamim ne discutono il significato e ciò che dovremmo imparare da questo processo. Secondo il Kli Yakar, questi due capri alludono ai due capri preparati da Rivka per Yaakov, per ricevere le berachot da Yitzchak (Bereshit 27:9). In maniera similare, l’Abarbanel paragona i due capri a Yaakov ed Esav, a significare che due fratelli possono crescere nella stessa casa con gli stessi identici valori, e alla fine procedere su percorsi divergenti nella loro rispettiva vita a seconda delle scelte che fanno. Questa Parashà dovrebbe quindi servire da avvertimento sul fatto che scegliere la strada giusta nella vita non è affatto un compito facile e richiede vigilanza.

Una parte dell’Avodà che è stata fonte di molti studi era l’invio del capro presso la persona designata (“ish iti”) che l’avrebbe poi spinto giù da un dirupo fino alla morte dell’animale. Questo processo veniva fatto con grande clamore poiché l’ish iti sarebbe stato accompagnato dalle persone più importanti di Yerushalaim (Yakirei Yerushalaym), fermandosi lungo il percorso da una sukkà, una tappa, all’altra. È curioso come persone giudicate importanti accompagnassero la persona designata a portare la capra nel deserto nel giorno sacro dello Yom Kippur come se non avessero niente di meglio da fare, considerando che durante questo giorno sarebbe forse stato più interessante essere spettatori di quanto avveniva nel Bet haMikdash. In questo luogo si potevano vedere alcune cose che avvenivano una sola volta all’anno e solo in occasione dello Yom Kippur, come ad esempio il modo in cui il Kohen Gadol correva avanti e indietro, cambiando i propri indumenti a seconda del processo che doveva eseguire, come si immergeva nel mikve cinque volte diverse, le vesti d’oro e quelle di lino, l’incendio del chetoret e l’offerta del korban; Questa era la vera gloria ed eccitazione che accadeva davanti agli occhi di tutti e nessuno voleva perdersi. Eppure, queste persone si recavano ad accompagnare l’uomo designato, l’ish iti, in modo che non andasse da solo, sottolineando così l’importanza del fatto che gli atti di chesed sono più importanti del semplice assistere passivamente all’Avodà che si svolgeva nel Bet haMikdash durante lo Yom Kippur. Il sefer Kemotzaè Shalal Rav sottolinea che è per questo motivo che queste persone erano chiamate “Yakire Yerushalaim”.

Poiché ci troviamo durante il periodo della Sefirat haOmer, vale la pena prendere a cuore questa lezione; Il concetto di mettere gli altri prima di noi stessi. Nell’introduzione al sefer Nefesh haChayim, il figlio di Rav Chayim Volzhiner scrive che suo padre gli diceva costantemente queste parole: La creazione dell’uomo non è stata fatta come fine a se stessa, ma piuttosto per aiutare il prossimo al massimo delle proprie capacità. Ci sono alcune altre lezioni da imparare da qui. Possiamo suggerire che questa persona fosse chiamata ish iti perché era designata a questo scopo. Questo era il suo significato e quello che ci insegna. I Yakire Yerushalaim, le persona importanti di Yerushalaim, accompagnavano l’ish iti invece di guardare il Kohen Gadol per insegnarci che chiunque adempia veramente alla propria missione può essere grande come un Kohen Gadol durante lo Yom Kippur.

Un altro insegnamento che si può ricavare dall’ish iti è che mentre era accompagnato dagli altri, faceva delle pause lungo il percorso fermandosi “da una sukkà all’altra”. Ad ogni tappa gli veniva offerto da mangiare e da bere, anche se lui non ne aveva bisogno. Questo processo può insegnarci qualcosa che ha a che fare con la vita di ognuno di noi. Ad ogni passo del cammino dobbiamo verificare che le nostre motivazioni siano corrette e che la missione venga portata a termine senza perdere nulla. Nelle varie tappe che percorriamo nella nostra vita per venire fuori da situazioni difficili, problemi o anche nel cercare di migliorare noi stessi, a volte il lavoro è così difficile che è necessario chiedere aiuto al prossimo, un aiuto prezioso, un aiuto che può portarci a centrare l’obiettivo. A volte l’altro siamo noi, colui che attraverso il proprio aiuto o anche solo attraverso il proprio comportamento, può ispirare il prossimo ed aiutarlo, direttamente o indirettamente. Tutto questo è possibile, non solo a Kippur, ma anche durante l’anno: Il contributo di ognuno, singolarmente e collettivamente, è importante.

Please follow and like us:
Pin Share