Parashat Tazria – Quando manca l’amore

02/04/2019 0 Di Redazione

La Parashà di Tazria tratta di purità e di impurità ed inizia a parlare della malattia della tzara’at. I commentatori associano questa malattia alla maldicenza e, per estensione, alla mancanza di amore nei rapporti interpersonali.
Che cos’è l’amore? È solo una sensazione? Viene da qualcosa? Come si può capire la differenza tra amore e infatuazione?
In una società con un tasso di divorzio di circa il 50%, sappiamo che l’amore sembra essere una cosa fragile. Sperimentare un matrimonio spezzato per imparare la differenza tra essere innamorati e infatuati è doloroso e dispendioso. Maimonide, uno dei più grandi filosofi ebrei, ha scritto nel suo libro, Mishnè Torà, “Non puoi amare D-o se non nella misura in cui lo conosci.” Maimonide ci sta dicendo che l’amore è il risultato della conoscenza. Il piacere dell’amore di D-o viene dal concentrarsi su ciò che sai di D-o, che è la fonte di ogni bene. Con le persone, l’amore viene dal concentrarsi su quali virtù hanno, e ciò che li rende simili a D-o. Quando guardiamo le persone che amiamo, è chiaro che l’amore viene dal vedere le buone qualità. Non possiamo dire: “Lo amo perché è egoista”. Potremmo solo dire: “Lo amo perché, anche se è egoista, ha una grande gioia di vivere”. Perfino la madre di un uomo malvagio non direbbe: “Amo mio figlio perché è un gangster malvagio”; lei direbbe: “Lo amo perché è così coraggioso”. La virtù è resa primaria; il difetto è ignorato come non importante o addirittura travisato come virtù. Al contrario, l’odio deriva dal concentrarsi sul cattivo che vediamo in qualcun altro. Non possiamo dire “lo odio perché è amichevole”. Potremmo dire: “Lo odio perché anche se agisce in modo amichevole, lo fa per motivi egoistici”. La cattiva qualità è resa primaria; la virtù è considerata non importante o inesistente.
Perché è importante dare una definizione di amore? Se l’amore è uno dei nostri più grandi piaceri, quello che cerchiamo sempre, abbiamo bisogno di una definizione per massimizzare il piacere genuino. Molti pensano che l’amore sia un sentimento indefinibile che va e viene. Molti pensano che non possiamo imparare ad amare qualcuno per cui non proviamo amore perché non possiamo insegnare a noi stessi ad amare. Noi “perdiamo l’amore” con qualcuno di cui eravamo innamorati perché non conosciamo le ragioni per cui ci innamoriamo in primo luogo (questo è il motivo per cui molti matrimoni falliscono, non perché “l’amore” è scomparso, ma perché uno o entrambi i partner hanno distolto la loro attenzione dal bene dell’altra persona verso i difetti). Infine, a volte pensiamo di essere innamorati di qualcuno, solo per scoprire che eravamo infatuati.
Se sappiamo che l’amore viene dalla consapevolezza delle virtù, abbiamo uno standard obiettivo per verificare i nostri sentimenti: ma questi sentimenti sono basati sulle virtù che l’altra persona possiede veramente o sono basate su un desiderio per il conforto fisico o emotivo che ci fa inventare o esagerare le virtù nella persona, solo per scoprire la mancanza di esse quando il desiderio è soddisfatto?
Il principio di amare gli altri cercando le loro virtù può essere appreso dalla Torà. Nel libro della Genesi è scritto, “L’uomo conobbe sua moglie, Eva …” (Gen. 4: 1) La parola usata per il rapporto fisico coniugale tra marito e moglie è “conoscere” e deriva dalla radice della parola “sapere”. Il più grande rapporto d’amore tra gli esseri umani è nel matrimonio ed è fondato sulla conoscenza reciproca di due persone, l’una dell’altra. Se desideri veramente amare un altro essere umano, devi concentrarti sulle buone qualità in quella persona.
Questo valore importante è valido per tutti i tipi di amore. In una società ideale dobbiamo imparare ad amare il prossimo. La via corretta per farlo è la conoscenza dell’altro, la comprensione, il trovare sempre il modo di esaltare le virtù anche se quello che traspare più facilmente e di cui più facilmente parliamo sono i difetti di chi ci sta intorno. La tzara’at è proprio questo. Si tratta della perdita di capacità di giudicare per il bene che rende impuri, che annebbia la mente e che rischia di contagiare anche gli altri.
La Torà ci insegna a diventare puri, a pulire il nostro pensiero e il dono più grande che D-o ci ha dato, la parola. Interiorizzando questo messaggio riusciamo a creare la società perfetta, una società più giusta per tutti.

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