Parashat haShavua – Vayeshev – Anche le scarpe sono importanti

29/11/2018 0 Di Redazione

Yosef si avvicina ai suoi fratelli ma non sa che stanno tramando la sua rovina. Lui cerca sinceramente i suoi fratelli ma questo sentimento non è ricambiato e Yosef viene gettato in una fossa, dove rimane fino a quando l’opportunità di risolvere permanentemente il “problema di Yosef” si presenta: E si sono seduti a mangiare il pane; e alzarono gli occhi e guardarono, ed ecco una compagnia di Ismaeliti venne da Ghilad con i loro cammelli che portavano la gomma, il balsamo e la mirra, andando a portarlo giù in Egitto. E Yehudà disse ai suoi fratelli: Che profitto c’è se uccidiamo il nostro fratello e nascondiamo il suo sangue? Vendiamolo agli Ismaeliti e non lasciamo che la nostra mano sia su di lui; perchè è nostro fratello e nostra carne (Bereshit 37: 25-27). L’omicidio è evitato a favore di un accordo più redditizio. Una volta deciso di vendere Yosef agli Ismaeliti, vengono i Midianiti, e la vendita va avanti: poi sono passati dei mercanti Midianiti: e tirarono e levarono Yosef fuori dalla fossa, e vendettero Yosef agli Ismaeliti per venti pezzi d’argento. E portarono Yosef in Egitto (Bereshit 31: 28). Il riferimento ai Midianiti non è chiaro. Rashì dice che Yosef è stato venduto più di una volta, Ibn Ezra dice che entrambi i nomi si riferiscono alla stessa carovana. La tradizione ebraica si riferisce alla vendita di Yosef come una macchia indelebile sulla coscienza collettiva dell’intera nazione. Il Rambam nota che una capra è sempre presentata come offerta per il peccato durante i Shalosh Regalim e lega questa offerta direttamente con il sangue della capra con il quale la tunica di Yosef è stata macchiata dai suoi fratelli. La capra è simbolo del tradimento che continua a perseguitarci, una macchia sull’integrità e sull’unicità dell’intera nazione. Durante i Shalosh Regalim, quando ci riuniamo in famiglia, portiamo il sacrificio per il peccato con il sangue di una capra per tentare una sorta di guarigione per la vendita di Yosef. I Chachamim associano alcuni degli eventi più cartastrofici della storia ebraica con la colpa collettiva per la vendita di Yosef: il martirio dei dieci più grandi studiosi dell’ebraismo, raccontato ogni anno a Kippur, si dice che sia un tikkun per la vendita di Yosef. I fratelli di Yosef sono colpevoli della vendita e quell’episodio ha grosse ripercussioni nel corso della storia ebraica. L’Haftarà di questa Parashà conduce ad una conclusione ineluttabile della colpevolezza. Così dice l’Onnipotente: Per tre trasgressioni di Israele non li punirò ma per la quarta non rinuncerò alla punizione; perchè hanno venduto il giusto per l’argento e il povero per un paio di scarpe. (Amos 2: 6) Le parole del profeta Amos forniscono informazioni che mancano nella Parashà. La Torà ci racconta quanto guadagnano i fratelli dalla vendita di Yosef, non cosa hanno fatto dei soldi. Il fatto che i fratelli di Yosef abbiano comprato delle scarpe con quei soldi è davvero un fatto saliente? Le informazioni apparentemente irrilevanti del Profeta rivelano aspetti importanti. Le scarpe appaiono nella Torà in diversi contesti. Il primo è quando a Moshe viene detto di togliersi le scarpe per rispetto al suolo sacro su cui si trova. Qui togliere le scarpe indica consapevolezza di santità. Quando gli Ebrei si prepararono a lasciare l’Egitto fu detto loro di mettersi le scarpe facendo sembrare questo comandamento pragmatico, per prepararsi al lungo viaggio che li attende. Il significato più profondo si apprende dal terzo contesto in cui compaiono le scarpe, quando la Torà descrive la cerimonia dello scalzamento, quando un uomo si rifiuta di sposare la moglie senza figli del fratello defunto. Una parte centrale di questo rituale è la rimozione della scarpa dell’uomo. Se il fratello vivente decide di sposare la vedova di suo fratello defunto e costruire la famiglia il termine usato per descrivere la cerimonia è yibum. Queste due cerimonie sono presenti nella Parashà, nella storia dei figi di Yehudà cui non interessa la continuità familiare, e di Tamar. Yehudà è in qualche modo punito per avere dato la precedenza al profitto rispetto alla vita di suo fratello Yosef. Non è una coincidenza che la Torà per la cerimonia dello scalzamento prescriva che la vedova rifiutata sia incaricata di togliere una scarpa dal piede del cognato. Quando non si riconosce la santità del fratello e della famiglia che è incaricato di preservare, la sua scarpa viene rimossa come promemoria (come fu anche per Moshè) o come simbolo della sua insensibilità come quando i fratelli acquistarono scarpe con “denaro insanguinato”. La vendita di Yosef inizia quando i fratelli mangiavano del pane mentre Yosef gridava loro dalla fossa. Quel pasto, simbolo di una famiglia divisa, viene interrotto da una carovana di passaggio che ha fornito le scarpe ai fratelli, portato Yosef in Egitto, illudendoli di sbarazzarsi del loro fastidioso fratello, di venderlo come schiavo. I loro discendenti diventeranno schiavi e quando arriverà il momento in cui devono lasciare l’Egitto e iniziare il viaggio di ritorno nella Terra di Israele, dovranno sedersi e fare un pasto insieme come famiglie riunite. Sono finalmente pronti a rimettere le scarpe ai loro piedi. Questo è un pasto di guarigione, una celebrazione in cui ognuno riconosce la santità degli altri e, infine, diventano una sola famiglia unita, Am Israel

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