Parashat Shofetim – L’importanza di essere parte attiva

02/09/2022 0 Di Redazione

Per due volte, la Torà ci sorprende con la sua descrizione della battaglia. In genere la Torà non spreca parole, soprattutto quando un’espressione più breve rende meglio il punto. Perché, allora, la Torà parla di “uscire” in guerra piuttosto che di “fare” la guerra? La stessa espressione, tra l’altro, viene usata nella Parashà della prossima settimana. Queste non sono le uniche sorprese, se si tiene conto dei commenti dei Chachamim al versetto “quando sei accampato contro il tuo nemico” dal quale si impara che chi si mette in battaglia dovrebbe farlo come parte di un campo . Se la Torà vuole sottolineare l’importanza del gruppo, perché usa il singolare, ki tetzè (quando uscirai)?
Nel Talmud (Sotà 42a) viene sottolineato come il Kohen nell’esortare il popolo prima della battaglia usasse le parole “Shema Yisrael” e si discute se sia possibile meritare la protezione divina se non si hanno meriti di cui parlare al di là dell’aver recitato lo Shema. Quanto sembra coerente con l’interpretazione dei Chachamim dell’espressione “timorosi e deboli di cuore”, usata nello stesso contensto dell’esortazione prima della guerra, in riferimento a coloro che si preoccupano delle loro trasgressioni. La domanda è però se i timorosi e i deboli di cuore non recitano lo Shema regolarmente.


Tutte queste domande trovano risposta se applichiamo queste parole a contesti diversi. Il significato primario del testo riguarda un teatro di guerra, ma queste espressioni potrebbero alludere a qualcos’altro: La battaglia per eccellenza che ogni persona deve condurre contro il suo yetzer hara (inclinazione al male). Non c’è modo di evitare questo confronto. Ogni individuo (da cui l’uso della forma singolare) deve affrontare questa battaglia e questa, a livello individuale, è per lo più persa se si aspetta che il nemico inizi le ostilità. La miglior difesa, in questo caso, è un buon attacco, “uscire”, ridurre l’influenza dell’avversario prima che prenda vantaggio attaccando per primo. La Torà ci esorta a non lasciarci sopraffare dal panico. Eravamo gravemente svantaggiati nei primi giorni come popolo e abbiamo trionfato. Dobbiamo ricordare che Hashem sarà sempre lì, pronto ad aiutarci a perseguire con successo i nostri obiettivi.


Due sono gli elementi essenziali per fare la guerra contro un nemico. Uno di questi è la mentalità dei soldati che devono essere preparati a combattere senza paura e a mettere da parte tutti gli interessi in competizione che potrebbero intaccare la loro attenzione. Non possono permettersi di pensare alle loro mogli o ai loro figli, ma si devono dedicare anima e corpo alla battaglia. Un secondo elemento è la fiducia nel risultato. Devono credere che trionferanno. Se credono che le loro possibilità di vittoria siano limitate, non dovrebbero combattere. La Torà riconosce l’importanza di questi fattori. Il Kohen annuncia le esenzioni dal servizio di leva. “Chi ha costruito una nuova casa e non l’ha inaugurata? Lasci il campo e torni a casa sua, perché non muoia in guerra». Come è noto gli individui muoiono in battaglia, ma quelli che hanno costruito una nuova casa, o piantato una nuova vigna, o hanno altri motivi per non combattere, sono certamente in minoranza. Perché andare a combattere con un atteggiamento pessimista che potrebbe anticipare che queste minoranze saranno probabilmente tra le vittime? Potremmo pensare che si tratta di una lettura errata, che la comunità non si preoccupa della remota possibilità che tra le vittime rientrino coloro che non hanno ancora goduto appieno di ciò per cui hanno lottato. Le esenzioni parlano dei bisogni degli aspiranti soldati, non della comunità. Quei soldati che vorremmo strappare alle loro nuove mogli, case e vigneti non sarebbero guerrieri efficaci. Non essendo in grado di trascendere le loro preoccupazioni, saranno dei soldati inefficaci. Anche coloro che hanno paura a causa dei loro peccati sono esenti in quanto, sentendosi vulnerabili a causa delle loro trasgressioni, non possono sentire di avere la certezza della vittoria. Mancando questa sicurezza di sé, non dovrebbero essere arruolati, per non contagiare i loro compagni con le loro preoccupazioni e dubbi.


Questa Parashà viene letta nel mese di Elul. Questo non è un caso. Sapendo che dobbiamo essere in prima linea nella battaglia contro lo yetzer hara, dobbiamo imparare da questa Parashà come essere dei buoni soldati. Raggiungeremo i nostri obiettivi di teshuvà solo se ci liberiamo dalle preoccupazioni che ci trattengono e se possediamo la totale fiducia che Hashem apprezza i nostri sforzi e ci aiuterà attivamente. I Chachamim del Talmud, quando sostengono che anche solo il merito della recitazione dello Shema è sufficiente per la vittoria, intendono dirci che lo Shema parla della costanza del nostro riconoscimento di Hashem e del nostro rapporto personale con Lui. Non c’è differenza in quel riconoscimento, se avviene prima di un peccato commesso o dopo. La recitazione dello Shema è l’accettazione del giogo del Cielo, il riconoscere D-o. Nella nostra vita, durante l’anno, tante sono le circostanze in cui potremmo fare la scelta sbagliata, scelte dettate da circostanze avverse, o dettate da altri motivi. Il mese di Elul è il mese più adatto per intraprendere quello che durante l’anno abbiamo rimandato. In vista di Rosh haShanà e di Kippur, abbiamo la possibilità di iniziare quel cambiamento che ci porterà ad essere migliori e ad ottenere la teshuvà completa, consci del fatto che D-o ci ha dato le capacità per sfruttare le nostre qualità positive e che non ci abbandona mai, che ci aiuterà a superare le difficoltà, a migliorarci e a realizzarci

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