Parashat Metzorà – Saper ripartire

08/04/2022 0 Di Redazione
La Parashà di Metzorà delinea il processo di purificazione per una persona colpita da tzara’at. Una delle fasi essenziali di questo processo è la tevilà in un mikve. Il Sefer HaChinuch suggerisce una ragione per la quale la tevilà è una parte fondamentale nel processo di pentimento del metzorà: Il mondo prima della creazione dell’uomo era pieno d’acqua. Il mikve quindi simboleggia un ritorno all’inizio della creazione. Immergersi nell’acqua è un modo per lasciarsi alle spalle gli errori del passato e ricominciare da capo.
Quando una persona pecca e poi riconosce il proprio fallimento, c’è una tendenza naturale a sentirsi giù di corda e depressi. Il fallimento può essere però incanalato in modo positivo, e può essere utilizzato per evitare di ricadere nel peccato in futuro, ma può anche avere un effetto indesiderato, facendoci cadere in una spirale discendente di fallimento spirituale. Quando una persona si sente depressa per ciò che ha fatto, può rimanere sconcertata e perdere la forza per continuare nel suo Servizio Divino come prima. In questo modo la ricaduta di un peccato può effettivamente essere molto più dannosa del peccato stesso. L’immersione in un mikve dopo un peccato simboleggia la volontà di svicolarsi dai propri errori e la volontà di ripartire.

Rav Chaim Shmuelevitz nota alcuni esempi nel Tanach in cui una persona ha fallito e, di conseguenza, ha poi subìto un grande declino che ha distrutto la sua spiritualità. Un caso eclatante è quello di Orpà, nuora di Naomi. Quando Naomi stava tornando in Israele, sia Rut che Orpà erano decise a rimanere con lei e a convertirsi. Orpà a questo punto era allo stesso livello elevato di Rut, ugualmente disposta a lasciare la sua patria per unirsi al popolo ebraico. Tuttavia, dopo le suppliche di Naomi affinché tornassero alla loro patria, Orpà cedette e tornò a Moav. Sembrerebbe logico pensare che dopo questa scelta Orpà rimase ad un livello spirituale elevato, al limite appena un po’ più basso di quello di Rut, tuttavia, il Midrash ci dice che la notte stessa in cui lasciò Naomi, Orpà sprofondò ai livelli più bassi di depravazione. Come è possibile che sia caduta in modo così drammatico in una notte? Rav Shmuelevitz spiega che quando ha visto di aver fatto la scelta sbagliata scegliendo di non unirsi al popolo ebraico, Orpà non riuscì a reagire e ricominciare da capo. Fu molto colpita dalla sua incapacità di resistere alle sfide, e di conseguenza perse ogni senso dell’equilibrio e cadde sotto i poteri dello yetzer hara (inclinazione al male).

Rav Shmuelevitz cita un altro incidente nel Tanach in cui un grande uomo ha fallito una sfida e ha riconosciuto il pericolo che correva di rimanere completamente intrappolato dallo yetzer hara. Il profeta Shmuel ordinò al re Shaul di distruggere Amalek, tuttavia Shaul lasciò in vita alcuni animali e il re Agag. Shmuel lo affrontò e gli disse che con questo peccato Shaul aveva perso il suo diritto al regno. Dopo aver fallito nello scagionare se stesso, Shaul ha ammesso la sua colpa facendo al contempo una richiesta molto strana a Shmuel. “Per favore ora onorami davanti ai Saggi del mio popolo e del popolo d’Israele…” Qual era lo scopo di questa richiesta? Non era sicuramente un semplice tentativo di Shaul di sentirsi meglio con se stesso. Shmuel accoglie la domanda, indicando in questo modo la validità della richiesta.

Rav Shmuelevitz spiega che Shaul non voleva semplicemente mantenere l’onore. La sua richiesta derivava dall’essere consapevole di essere in pericolo di subire una grande caduta e dal rendersi conto che doveva rafforzarsi immediatamente per non essere danneggiato dal suo peccato, perciò, in seguito a questa grande caduta spirituale, chiese a Shmuel di onorarlo e così aiutarlo a mantenere il suo senso di equilibrio e potere ricominciare da capo. Shmuel, nonostante il suo dispiacere per il fallimento di Shaul, acconsentì alla sua richiesta perché ne riconosceva l’importanza.

Il comportamento e le azioni di Shaul rappresentano un insegamento che ci permette di attuare una strategia su come evitare che il fallimento abbia un effetto disastroso. Quando una persona fallisce, è probabile che si senta male con se stessa e perda il rispetto di sé. Quando una persona si sente un fallito può arrendersi e lasciarsi andare. Per evitare ciò, deve mantenere una buona immagine di sé dopo il fallimento e riconoscere che anche se ha commesso un errore può pentirsi e ricominciare.

Il re Shelomò sottolinea nel Mishlè proprio questo punto quando scrive: “Un uomo giusto (tzaddik) cade sette volte ma si rialza”. Il Malbim prendendo spunto da questo passaggio spiega che, nonostante le battute d’arresto, uno tzaddik si rialza di nuovo. In effetti, gran parte di ciò che rende una persona uno tzaddik è la sua capacità di riprendersi dai propri fallimenti o dai propri errori. La tevilà del metzora ci insegna la stessa lezione: Chi ha peccato non ha bisogno di essere condannato alla caduta perpetua. Se riesce a superare quanto successo in passato può ricominciare da capo.

Questo è un insegnamento molto importante che vale in tutte le generazioni. Nella vita capita di fare la scelta sbagliata, capita di fare errori o di fallire in quello che facciamo. Le situazioni più o meno difficili capitano a tutti. La sfida vera che dobbiamo affrontare non sta tanto nell’affligerci per quello che è successo, ma sta nel riconoscere i nostri errori e trovare le forze e il modo di ripartire, di reinventarci, perchè attraverso questo D-o ci dà la forza per crescere e migliorarci
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