Parashat haShavua – Bereshit

03/10/2018 0 Di Redazione

La parte centrale di questa parashà descrive la storia della breve permanenza di Adamo e Chava in Gan Eden. D-o diede loro il permesso di mangiare tutti i frutti del giardino, eccetto il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Il serpente persuade Chavà a mangiare il frutto proibito. La donna disse al serpente: “Possiamo mangiare dal frutto degli alberi nel giardino, ma D-o ci ha detto che non possiamo né mangiare né toccare il frutto dell’albero in mezzo al giardino, perché altrimenti moriamo”. Il serpente disse alla donna: “Sicuramente non morirai” (Bereshit 3: 2-4). Rashì in loco commenta: Sicuramente non morirai – la spinse finché non toccò l’albero, poi le disse: “Proprio come non sei morto dal toccarlo, così anche tu non morirai mangiandolo”. La logica del serpente appare imperfetta. Chavà è stata spinta contro l’albero dal serpente e non ha avuto conseguenze. Il serpente sosteneva che ciò provava che anche mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non avrebbe avuto un risultato negativo. Ma se il contatto era inevitabile per la spinta del serpente il mangiare sarebbe stato un atto deliberato. Come possono essere confrontati? Il seguente principio della Ghemarà sicuramente applicarsi a questo caso: La Torà esenta dalla punizione coloro che agiscono sotto costrizione. (Nedarim 27a). C’è un altro problema. Se D-o aveva promesso ad Adamo e Chavà che se avessero mangiato il frutto, in quello stesso giorno, sarebbero sicuramente morti (Bereshit 2:17) come poteva il serpente sostenere il contrario? Rambam scrive che le mitzvot sono consigli “da lontano” per correggere le proprie idee e raddrizzare le proprie azioni. Se un ebreo mangia qualcosa di non Kasher non viene colpito immeditamente da sintomi tremendi.  La conseguenza dell’osservanza delle mitzvot è di spingere le nostre azioni e la disposizione spirituale generale verso l’ideale della Torà, la conseguenza del contrario è che ci allontaniamo da quell’ideale. Questa visione del viene respinta dal serpente e da chi abbraccia questo tipo di ragionamento. Come si deduce dal commento di Rashì il serpente vede il mondo in un modo più semplicistico di quello riportato dal Rambam: se l’albero e il suo frutto sono proibiti pena la morte, allora non appena lo si tocca o se ne mangia si dovrebbe morire. Se uno non muore, ragiona il serpente, allora la punizione non sta per accadere affatto. Si deduce quindi che non osservare le mitzvot se non provoca un effetto immediato, non provocherà alcun effetto. Di più, aspettandosi risultati immediati dalle azioni e confondendo la distinzione tra atti intenzionali e accidentali, il serpente persuase Chavà a mangiare il frutto. Il serpente ha espresso una visione totalmente distorta della realtà per rendere un caso apparentemente logico a Chavà. Questa analisi può aiutarci a risolvere un’altra difficoltà nella storia: La donna vide che il frutto dell’albero era buono da mangiare, desiderabile per gli occhi, e che l’albero era piacevole all’intelletto, e lei prese dal suo frutto e mangiò. Ne diede un po’ a suo marito con lei e ha mangiato (Bereshit 3: 6). Come si può descrivere un gusto con il senso della vista? La qualità del gusto è determinata dalla lingua, non dagli occhi. Possiamo supporre che da quando Chavà si fece avanti e mangiò il frutto accettò la pretesa del serpente e quindi la filosofia che vi era dietro. Pensava che non essendo successo niente toccando l’albero, mangiare da esso non le avrebbe fatto alcun male. È con il suo senso della vista che ha scoperto che il frutto era innocuo, poiché questo senso perde la sua piena capacità quando si avvicinano la malattia e la morte. Dal momento che poteva ancora vedere l’albero, il suo senso della vista funzionante a pieno regime, dedusse che il suo frutto era in effetti “buono da mangiare”, cioè completamente libero dal pericolo. Dopo l’episodio del frutto, D-o maledisse il serpente nel modo seguente: Possa tu essere maledetto tra tutti gli animali e tutte le bestie del campo. Dovrai strisciare sul tuo ventre e mangiare polvere per tutti i giorni della tua vita. (Ibid., 14). Nella sua traduzione  il rabbino Yonatan ben Uziel scrive: … e veleno mortale sarà nella tua bocca.  Il serpente sosteneva, come abbiamo visto, che quando D-o promette una punizione per un certo atto, significa che eseguire quell’atto è come prendere un veleno letale – ucciderà immediatamente. Pertanto, la punizione del serpente di avere per sempre il sapore del veleno mortale nella sua bocca è appropriata. Deve rendersi conto delle malvagie conseguenze della sua distorta filosofia di vita assaporando i veri effetti del veleno per l’eternità. Da notare come questa narrazione e questo insegnamento sia in questa parashà che viene letta subito dopo i chaghim e che è la prima parashà letta nel nuovo ciclo di lettura delle parashiot. Proprio per questo l’insegnamento che si ricava da questo episodio deve essere uno sprone a continuare nel percorso di teshuvà iniziato nel mese di Tishrì e, per quanto possibile, aggiungere altre mitzvot per essere pieni di mitzvot come una melagrana per tutto l’anno

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